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Pubblico qui  parte di una lettera di Davide Rodorigo, come ringraziamento al suo gesto di ascolto e come contributo critico alla mia tesi di maturità  "Ogni roveto un dio che arde".

Caro Giorgio,


mi sono addentrato nei percorsi della tua tesina: meriterebbe degli interi saggi a commento. Io, purtroppo, non ne sono capace, altrimenti dovrei scrivere a lungo della sua architettura da labirinto borgesiano, dell'ambiziosità insita in un percorso così ampio e variegato (le grandi opere nascono da grandi ambizioni), della proposizione di uno scardinamento della cultura scolastica (mi ricordi il Pasolini dell'abolizione della scuola media) all'interno di un progetto che invece avrebbe dovuto esprimerla, del paesaggio preziosamente affollato di voci diverse che (quasi come un Bosch) vi hai tracciato, del rapporto indefinito tra realtà e sua rappresentazione, tra verità e finzione che tracci (a partire dai dedicatari Pinocchio e Giuseppe da Copertino), del senso e delle possibilità della parola che indaghi con inaudita ostinazione tramite le persone che analizzi (il limite della poesia come strumento insufficiente a esprimere il reale e come serva di ogni padrone in Emilio Villa), delle tue riflessioni sulla gratuità delle cose (assurde e belle nella loro incoscienza, nel loro non richiesto essere-nel-mondo) connesse all'opera di Mariano Prosperi (incredibile il suo approccio al contempo scientifico, curato e diretto, caotico, al supporto su cui creare), della tua formazione onnivora che attinge alla superba tradizione dei manga come quelli di Asano, di come rendi a mio parere perfettamente l'anima delle opere di cui tratti, della tua poeticissima descrizione dell'atto di Toth come momento creatore nella furia distruttrice, sordo all'autorità del marmo, che comunque trionfa sul gesto iconoclasta, della perfezione della metonimia dell'ascolto delle mani della Argerich, con cui trascini l'esperienza di costruzione musicale nel suo ambito tattile e corporeo, con cui le mani e le loro rappresentazioni fotografiche divengono parte del processo musicale, della luce che getti attraverso Laforgue su ritratti femminili (così vivi, completi, incompresi, in pasto a "male gaze" ma imponenti nella loro complessità), del fascino dell'inedita sperimentazione o della visione nella sua nudità di incorrotta genuinità come quella del cinema e della fotografia di Gioli, di come ogni tua introduzione critica sia in realtà un poema, del dischiudersi di universi da poche tracce (siano esse le scene di un film di Santini o le pagine della tua tesina), della potenza eversiva dell'immaginazione di fronte al grigiore del noto, del certo, del ruolo stabilito  dell'elevazione funambolica di Petit come paziente lotta contro il limite (limite fisico newtoniano, limite del rancore tra gli spettatori arabi e israeliani, limite della legge dello stato), della tua scrittura calligrammatica (che in un certo senso avevi già nei quaderni elementari), della tua resa per metafore potenti del viaggio del fotografo brasiliano (e in te visioni estetiche sono sempre binari di perlustrazioni esistenziali), della codificazione della danza quale linguaggio delle emozioni che percorri tramite le parole di Pina Bausch, della dimensione intima e lirica della tua corrispondenza con Consalvi (e di come nel suo poetare l'animazione della natura riunita inneggi alla vita), dell'uso del proprio corpo come visibile terreno di scoperta (mi riferisco non solo a Franko B, ma anche alla nudità, più tenera e immediata, di immagini tue e di disegni e di foto presenti), del lavoro teatrale (di cui sei esperto e buon allievo di Bene e del tuo regista Boldrini) come esercizio costante (al limite di un pascaliano "s'abetir") e profondo, uno studio originale sul linguaggio espressivo, della creazione di un'estetica femminile che sia però per le donne come balena in mente a Diana Vreeland di fronte alle geishe, dell'intricata rete di corrispondenze tra segni e parole che riproponi con Mussio (sto amando le sue opere), del significato simbolico e psicologico dell'androginia negli studi di Zolla (già Mircea Eliade era giunto alle stesse conclusioni sulla metafisica dell'androgino, ed esistono saggi etnografici interessanti sull'androginia di sciamani e guaritori nelle tribú indie nordamericane; di Zolla non condivido la contrapposizione tra "arida ragione" e "fervida immaginazione", che trovo spesso in contesti letterari dal sapore pregiudizialmente anti-scientifico: un buon uomo di scienza è lontano dalla furia classificatrice, trae categorie dalla realtà e non viceversa e anche allora sa bene che sono solo utili ma inadatti contenitori per un universo continuo, in cui vige la particolarità e in cui le code delle curve gaussiane attorno ai valori medi non vanno mai tagliate), della tua lettera postuma a Mieli (che ammetto di amare visceralmente), che in forma d'invocazione rappresenta la più veritiera e sconsolata denuncia che abbia letto di recente sul crollo di sogni di libertà a cui andiamo incontro (e tu, cosciente, ti poni come ultimo critico di isteriche commemorazioni, di giubili per le concessioni liberali della tolleranza di poteri irriformabili - dov'è la libera genuinità del gaio comunismo, dove almeno spiragli per esso? -, del silenzio per non contrastare le urla di vittoria di battaglie inessenziali), dello svelamento di verità che taciamo a noi stessi come rivela la poesia di Elisabetta Moriconi (non scriveva già Sartre ne L'Être et le néant che "è la stessa cosa in fondo ubriacarsi in solitudine o condurre i popoli"?), della fiaba conclusiva come forma immediata di svelamento e come inno alla preziosità delle piccole cose della vita (ma non sono riuscito a capire cosa sia il corvo che il giovane incontra, oltre a rimandarmi a quello di "Uccellacci e uccellini" e sono così sciocco e poco fantasioso da chiederti lumi), della visione dell'arte e della bellezza come assenza di soluzione di continuità tra gli ambiti della vita (spaziando con la leggerezza conscia che ti è propria tra fumetti, musica, teatro, poesia, pittura, scultura, moda, prosa, arte di strada, danza, cinema, performance arte, fotografia, politica, in un dispiegarsi della tua anima su ogni aspetto della vita che covi cose belle), del nesso profondo tra i tanti e così variegati ritratti che tracci (un nesso artistico, filosofico, forse politico, contenuto in un'esternazione artistica che si specchia nella carnalità dei corpi, nell'essenza delle cose allergica alla metafisica, nella ricerca del vero che non teme la solitudine, nell'espressione fantasiosa di sé usando tutti i mezzi possibili, nel cortocircuito mentale di esseri sensibili catturati da istinti di morte e da patologie della psiche), della tua scrittura ricca, densissima, colta, a tratti barocca e vertiginosa e a tratti acuta e diretta, ma sempre essenziale, mai vuota.

 

E il mio interrogarmi su da dove tu, così giovane, tragga tutta questa coscienza delle cose, tutte queste profonde consapevolezze e tutti questi affamati dubbi, tutta questa cultura e questa capacità di assorbirla criticamente, questo mio interrogarmi su di te, dicevo, è probabilmente senza significato.
Sei oscuramente e insensatamente sbocciato, lì, in qualche luogo del mondo, e la tua luce, così spontanea, così reale, così autentica, mi affascina. 

(Il disegno sopra è di Mariano Prosperi, mentre la tesi è liberamente consultabile su questo stesso sito, nella sezione scritti)

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